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Il sound della California |
I Lighthouse All Stars. Furono tra gli alfieri del jazz della West Coast, praticato in prevalenza da bianchi |
Simile a uno swing dai colori delicati, curato nelle orchestrazioni e negli arrangiamenti, il jazz della West Coast piace al pubblico colto e approda nei conservatori e nelle università |
Guerra in Corea e caccia alle streghe Nasce il jazz bianco: Dave Brubeck La "terza corrente" di Schuller e Lewis
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Alla fine degli anni Quaranta la Central Avenue di Los Angeles stava perdendo la vitalità che l'aveva caratterizzata nel corso del decennio, quando la gente si affollava nei locali che si aprivano numerosi ai suoi lati e ovunque risuonavano le note del jazz nero. Negli anni Quaranta la città californiana era stata la meta dei principali protagonisti della musica afroamericana. Alla fine del 1945 il quintetto di Parker e Gillespie, scritturato Billy's Berg, aveva fatto conoscere il be bop ai giovani musicisti della costa occidentale, accendendo in loro nuovi entusiasmi. Nei club di Los Angeles si erano esibite le più grandi star nere, da Billie Holiday e Duke Ellington a Benny Carter, Lester Young, Nat King Cole -allora molto giovane- e Art Tatum. Accanto a loro aveva cominciato a emergere una nuova generazione di jazzisti che sarebbero presto diventati famosi, dal contrabbassista Charles Mingus ai sassofonisti Buddy Collette, Dexter Gordon, Wardell Gray e Lucky Thompson, dai trombettisti Gerald Wilson, Howard McGhee e Art Farmer ai pianisti Hampiton Haves e Dodo Marmarosa. Molti di questi giovani avevano esordito nell'orchestra della Jefferson High School, dove erano stati allievi di due musicisti di formazione classica, Llyd Reese e Samuel Browne. Fu anche grazie ai loro insegnamenti che il jazz si avviò a uscire dall'epopea romantica degli improvvisatori senza cultura per entrare con pieno diritto nel mondo della grande musica.
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Alcuni componenti della commissione di controllo sulle "Attività antiamericane": l'ultimo a destra è Nixon Mentre le luci della Central Avenue si stavano spegnendo, la città e l'intera California si trovavano nel pieno di uno sviluppo economico senza precedenti, anche perchè la deviazione delle acque del Colorado aveva reso coltivabile persino il deserto a sud-est della metropoli. Per Los Angeles gli anni Cinquanta si aprivano però anche all'insegna di terribili squilibri sociali. Nei due decenni precedenti il Dust Bowlle tempeste di polvere che a più riprese avevano distrutto l'agricoltura degli Stati del Middlewest, aveva spinto all'esodo verso la California decine di migliaia di profughi, la cui tragedia era stata raccontata con drammatica passione da John Steinbeck nel romanzo Furore (1939) e dolorosamente cantata da Woody Guthrie, splendido menestrello delle strade americane che quell'esperienza aveva vissuto in prima persona. In molti casi gli emigranti che scendevano dai treni erano stati percossi, incarcerati e rispediti ai luoghi di origine con una diffida. Molti erano tuttavia riusciti a eludere il blocco organizzato dalle autorità e a inserirsi nel nuovo contesto, ma nessuno di loro potè mai dimenticare il trattamento ricevuto. Ora il fiume miserabile degli hobos si stava finalmente riducendo, ma le periferie della metropoli si erano ormai riempite di disperati. |
Guerra in Corea e caccia alle streghe Il Dave Brubeck Quartet: Brubeck, Paul Desmond, Joe Morello e Gene Wright Il 24 giugno 1950 gli Stati Uniti, sia pure sotto l'egida dell'ONU, intervennero nella guerra di Corea che vedeva contrapporsi il Nord comunista, appoggiato dai sovietici e alleato con la Cina, al Sud nazionalista. Fu un conflitto inutile, oltre che pericoloso per la stabilità internazionale, ma vellicò le ambizioni degli americani che si eressero a salvatori del mondo minacciato dal comunismo. E la paura dei comunisti in quegli anni raggiunse il culmine. Nel 1950 il senatore repubblicano Joseph McCarthy avviò una campagna contro le "attività antiamericane" che prese le forme di una vera caccia alle streghe e che ebbe come conseguenza l'epurazione o l'emarginazione di migliaia di pubblici dipendenti, intellettuali, artisti, attori e registi di Hollywood sospettati di filocomunismo o di simpatie di sinistra. tra gli accusatori ci furono anche due futuri presidenti degli Stati Uniti, Richard Nixon e Ronald Reagan. I primi anni Cinquanta coincisero quindi con il periodo più acceso della Guerra Fredda. La tensione si allentò solo nel 1953, quando un armistizio pose fine al conflitto di Corea; quasi contemporaneamente, anche la cupa stagione del maccartismo volse al termine.
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Nasce il jazz bianco: Dave Brubeck Accanto al jazz nero cominciava intanto a fiorire in California un tipo di jazz praticato quasi esclusivamente da musicisti bianchi, un sound abbastanza tranquillo che ben si adattava all'apparentemente placida atmosfera di Los Angeles e dell'intera West Coast. Non è forse un caso che la sua nascita risalga proprio agli anni della massima tensione interna e internazionale, quando la borghesia americana appariva più che mai intimorita dalla carica rivoluzionaria del be bop ed era potenzialmente più ricettiva nei confronti di questa musica dai colori e dalle dimensioni diverse, da questa storia di swing ovattato e colmo richiami colti. Inoltre i jazzisti bianchi erano favoriti rispetto ai loro colleghi neri, trovavano buoni ingaggi e avevano la possibilità di esprimersi in condizioni sicuramente migliori. Uno degli eroi e degli iniziatori del jazz della West Coast fu Dave Brubeck, un pianista dalla solida formazione classica che aveva studiato sotto la guida di due dei più grandi compositopri d'area colta del nostro secolo, il francese Darius Milhaud e il viennese Arnold Schönberg. Scopertosi poco interessato alla possibilità di intraprendere una carriera classica, Brubeck aveva presto deciso di dedicarsi al jazz. Aveva quindi riunito un ottetto, che poi ra stato ridotto a trio e infine, nel 1951, a un quartetto che comprendeva Paul Desmond al sassofono contralto: grazie a lui, il successo di Brubeck fu folgorante. Il musicista capì subito che per diversificarsi dai colleghi avrebbe dovuto battere nuove strade: invece di sunare nei club cominciò quindi a esibirsi nelle università, nelle gallerie, durante i meeting di letteratura e i convegni accademici, in modo da dare alla sua musica una connotazione colta e da inserirsi in un filone diverso da quello sempre bistrattato del jazz. Anche lui viveva -e in modo profondo- il grande equivoco di tutto il jazz californiano di quel periodo: un'ansiosa ricerca di affermazione, di prestigio, di inserimento in un ambito sociale che non apparteneva al jazz classico, underground, ribollente di fermenti anarchici. La nuova musica, in ogni modo, ebbe grande successo: nel 1959 una composizione di Desmond, Take Five, vendette ottocentomila copie nel giro di pochi mesi, un autentico record per un disco di jazz.
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La "terza corrente" di Schuller e Lewis Il pianista John Lewis durante un concerto al conservatorio di Milano nel 1986 Altri musicisti, anche dall'altra parte del continente, si muovevano intanto nella stessa direzione di Brubeck. A NewYork Gunter Schuller, figlio di un cornista di orchestre sinfoniche, dopo aver partecipato alle prime incisioni del cool diventò il leader della Third Stream, ossia di una "terza corrente" che riuniva in sè i pregi delle forme classiche e le tentazioni avanguardistiche dei linguaggi più attuali del jazz: una musica, insomma, che era in grado di accontentare tanto il pubblico bianco quanto quello nero. Questa era anche l'ambizione di John Lewis, un giovane pianista nero di origine indiana che aveva ricevuto una formazione classica e aveva compiuto studi di antropologia. A New York si era unito ai boppers, ma puntava a una musica più levigata, ambiva alla fuga bachiana assai più che al quattro quarti jazzistico o alle dodici misure del blues. Riuscì facilmente a trovare dei compagni: nel 1951 si unì al batterista Kenny Clarke, al contrabbassista Ray Brown e al vibrafonista Milton Jackson, che sembrava l'unico possibile rivale -sia per classe strumentale, sia per linguaggio- di Lionel Hampton. Lewis tentò però di imporre loro le sue idee e in questo modo provocò in breve tempo la rottura con Clarke, che era stato uno dei protagonisti del be bop e che intendeva il jazz in modo molto più sanguigno, e con brown, che visto il clima preferì partire in tournnèe con la moglie Ella Fitzgerald. Clarke e Brown furono sostituiti rispettivamente dal batterista Connie Kay e dal contrabbassista Percy Heath, un gentiluomo che possedeva un Ruggeri del Settecento. Con loro, alla fine del 1952, nacque il Modern Jazz Quartet, una formazione imparentata con il jazz californiano che, sia pure con alterne vicende, è rimasta unita per quarant'anni, ottenendo un clamoroso successo in tutto il mondo. L'ambizione del quartetto era la stassa di Brubeck: suonare nelle sale dei conservatori. I quattro musicisti si presentavano in smoking, curavano il suono fino all'ossessione, proponevano arrangiamenti classicheggianti: facevano una musica per qualche verso sublime ma anche inutile e astratta, completamente svincolata dalla vita, da quella linfa ribollente di stimoli creativi che opera nel cuore del jazz.
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Jim Hall, Ralph Pena e Jimmy Giuffre Punto d'incontro dei protagonisti del nascente sound californiano era il Lighthouse Cafè di Hermosa Beach, una località nei pressi di Los Angeles. Il club era gestito dal contrabbassista Howard Rumsey, un ex membro dell'orchestra di Stan Kenton che nei primi anni cinquanta cominciò a organizzare concerti e sedute di incisione che rivelarono alcuni giovani talenti: fra loro c'era un clarinettista e sassofonista di origine italiana, Jmmy Giuffre, che si fece notare per i suoni ovattati, quasi sospirati, della sua musica ritrosa. Oltre a lui si esibirono al Lghthouse il batterista Shelly Manne, i pianisti Kenny Drew e Hampton Hawes, i sassofonisti Bob Cooper, Bud Shank e Art Pepper. Questi musicisti erano gli eroi attesi dalle case discografiche per soddisfare le nuove esigenze di un pubblico che non voleva problemi e che al jazz chiedeva solo una sorta di piacevole sottofondo. La Capitol e la Victor misero sotto contratto alcuni di loro; altri trovarono ospitalità presso etichette nate per l'occasione, la più importante delle quali, la Pacific Jazz, fu fondata proprio a Los Angeles nel 1952. Grazie all'interesse delle case discografiche, la musica della West Coast si diffuse in breve tempo in tutti gli Stati Uniti.
Frank Rosolino, Bud Shank, Bob Cooper, Howard Rumsey e Barney Kessel in concerto, 1955 |
Negli stessi anni in cui fioriva il jazz della West Coast, tra la California e New York nacque un movimento letterario e di costume che prese il nome di beat generation. Fu Jack Kerouac a oniare quel termine dai molti significati: tempo, ritmo, ma anche battuto, avvilito, vinto, oppure beato. Sembrava ce il suo celebre romanzo Sulla Strada, pubblicato nel 1957, vivesse le esaltazioni bippistiche e che sapesse scandire le parole in modo musicale. La coincidenza con i ritmi del jazz fu ovviamente cercata dai poeti più che dai romanzieri: Allen Ginsberg, per esempio, con i suoi tantra biascicati sulle musiche di Charlie Parker, o Gregory Corso, che per la sua bomba preferì il suono acidulo e beffardo della tromba di Dizzy Gillespie. I giovani artisti della beat generation si ribellavano alla tradizione e all'oppressione di una società troppo conformista. Con loro cominciarono le letture pubbliche di poesia, accompagnate da concerti jazz che sembravano esaltare una forma di coscienza alterata, l'uscita dalla realtà. Ed era in fondo la stessa cosa che facevano i jazzisti. |
Shelly Manne, Shorty Rogers e Jimmy Giuffre Anche se oggi è meno noto di molti altri, il maestro del californian sound è sicuramente Shorty Rogers, trombettista e compositore originario del Massachusetts ma californiano di adozione. A Los Angeles, Rogers suonò nelle orchestre di Woody Herman e di Stan Kenton: in fondo fu proprio quest'ultima la fucina del nuovo suono che però, contrariamente agli insegnamenti di Kenton, si esprimeva in modo molto rilassato, quasi con soavità. Rogers incise il suo primo disco come leader, Modern Sound, nel 1951. Fu il musicista che più direttamente si ispirò alla precedente esperienza delcool jazz e al nonetto di Miles Davis. Il suo linguaggio solistico era rispettoso della melodia, il suo suono caldo e insieme elegante e vivace. Rogers fondò un gruppo chiamato Giants con il quale incise parecchi dischi notevoli, uno dei quali Martians Go Home, del 1955, ebbe anche un buon successo di vendite. In seguito si dedicò all'insegnamento, oltre che alla composizione di musiche per il cinema e per la televisione: fu lui l'autore dei temi della popolare serie Starsky and Hutch. Accettò anche la direzione musicale della Atlantic, poi fece il produttore per la RCA Victor: era insomma un uomo decisamente eclettico. Il suo gusto nel miscelare le sonorità (fu lui a consigliare a Cooper di provare l'oboe), la scrittura elegante, il senso della composizione, che tuttavia non lo distolse mai dall'improvvisazione, infine il suo suono che nasceva proprio dall'essere insieme arrangiatore, compositore e solista di notevoli doti, furono gli elementi che stavano alla base di quel piccolo, ma interessante movimento che definiamo come corrente della West Coast. |
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