LE CHITARRE DI PAT METHENY E JOHN MCLAUGHLIN  

 

Perugia 1994: Metheny e John Scofield durante un'esibizione al festival

Negli anni ottanta e novanta la metropoli vede crescere povertà e violenza e aumentare le sue contraddizioni. La città ha un volto nuovo, ma è sempre la capitale. La scena più recente del jazz newyorkese è dominata dalle chitarre di Pat Metheny e John McLaughlin, alfieri di una musica che travalica i confini fra i generi.

 

Le chitarre di New York

una serata molto speciale

Metheny: la nascita di una passione

il successo

uno stile inconfondibile

John McLaughlin

l'arrivo a New York

il Greenwich Village

le suggestioni dell'oriente

la chitarra jazz

 

 

LE CHITARRE DI NEW YORK

Negli anni a cavallo fra settanta e ottanta molte cose erano accadute a New York. Innanzitutto il simbolo della città non era più il vecchio e glorioso Empire  State Building. Manhattan stava cambiando aspetto. Per rifarle il make up tutti erano pronti ad abbattere le vecchie costruzioni per erigere nuovi palazzi: la Trump Tower, per esempio, che si alza sulla quinta strada con i suoi sessantotto piani, ma ancora di più il Lipstick Building, costruito come un gigantesco rossetto sulla terza strada, o ancora il World Trade Center con le due fantastiche torri gemelle che fino all'11 settembre del 2001 dominavano la Downtown. Fuori da Manhattan, il vicino New Jersey stava diventando un elegante dormitorio con ville, piscine e giardini, meta della media borghesia newyorkese costretta dai costi sempre più alti della vita a lasciare il centro cittadino. Intanto la povertà stava crescendo: la Bowery, la strada della miseria, aveva ricevuto un nuovo afflusso di inquilini e con loro si era anche arricchita di una strana fauna, composta da musicisti punk che si riunivano al Cbgb, al 315 e al 313 della via. Lì è nata la poesia rock di Patti Smith, lì si sono formati i Ramones, i Television e altri gruppi del nuovo underground. Gli anni ottanta si aprivano invece con l'esplosione del trash, con il metal sound, con il lirismo di Billy Joel. Nel mondo delle lettere era il nome della scrittrice di colore Toni Morrison a tenere banco: Toni è uscita dal ghetto, ha affrontato il mondo con grande decisione, è diventata docente universitaria, ha ottenuto nel 1978 il suo primo riconoscimento per un libro intitolato "Il canto di Salomone"; ha anche dedicato un romanzo al mondo del jazz, ma la maggior parte della gente si è accorta di lei solo dopo che ha vinto il premio Nobel. Anche il panorama del crimine stava mutando: alla mafia italiana si era affiancata quella cinese, mentre dilagava la piccola criminalità. Sulle strade i ragazzi si esibivano in passi di breackdance per guadagnare qualche dollaro, e cominciava a insinuarsi il germe del rap, che del resto era già vivo in certi cantanti jazz della tradizione. La Grande Mela continuava a essere la capitale mondiale dell'avanguardia jazz, ma il centro della vita notturna si era spostato dai locali di Harlem e della Cinquantaduesima Strada nei club della Downtown e del Greenwich Village; i più famosi erano il Blue Note, lo Sweet Village e il Village Vanguard. Menu

 

 

UNA SERATA MOLTO SPECIALE

 

Huddie Leadbetter, detto Leadbelly

Il 22 ottobre 1981 Pat Metheny era atteso ai Power Station Studios di New York per realizzare un disco per la ECM, la casa di Monaco guidata da Manfred Eicher. Era un giorno di pioggia e gli studi, ottimamente attrezzati, avevano un'aria triste. L'edificio, grigio e abbandonato, posto fra Wall Street e il Village, non aveva alcuna affinità con la musica gioiosa che  e i suoi stavano andando a proporre con il disco che avrebbero poi intitolato Offramp. Qualcuno racconta che Pat, entrando, aveva detto che doveva essere stata in qualche modo simile la prima serata di chitarre al Village Vanguard, giusto quarant'anni prima. In quella occasione Max Gordon, il proprietario del locale, aveva accettato una proposta di Nik Ray, il futuro regista di "Gioventù bruciata". Era stato proprio lui a fare a Max Gordon il nome di un certo Huddie Leadbelly, finito in un carcere del Texas per omicidio e liberato dal governatore dello stato che, di tanto in tanto, si recava in visita alla prigione per sentirlo cantare. Leadbelly si trovava a New York e cercava di lavorare in qualche locale. Ray aveva allora proposto a Gordon di organizzare un duo tra Ledbelly e John White, altro grande chitarrista nero, splendido cantante di blues e di worksong, e ne era nata una serata molto speciale. "Era palpabile la sensazione che stesse accadendo qualcosa di straordinario" ha poi raccontato Gordon. "Non avevo mai visto nel locale tante chitarre: Pete Seeger, Burl Ives, Richard Dyer-Bennet, Millard Lampel e addirittura Woody Guthrie, padre di tutti i menestrelli americani, di tutti i vagabondi, di tutti i senzatetto".  Menu

 

 

METHENY: LA NASCITA DI UNA PASSIONE

Pue essendo uno dei protagonisti della scena musicale newyorkese, Pat non è originario della Grande Mela ma di Lee's Summit, un piccolo centro agricolo del Missouri a una ventina di chilometri da Kansas City dove il capostipite della famiglia, suo nonno Moses, soprannominato dagli indiani "Chautauqua" (l'errabondo), aveva finalmente messo radici dopo una vita di viaggi avventurosi. Pat aveva cominciato a studiare la tromba a otto anni sulle orme del fratello maggiore, Mike. Ma era incappato nei Beatles e aveva visto per ben quindici volte di seguito il loro primo film, A Hard Day's Night, e così aveva chiesto in famiglia di avere anche una chitarra. Dopo qualche discussione, la madre aveva organizzato un garage sale, ovvero una vendita di mobili vecchi nel garage della casa, e con il ricavato aveva acquistato per lui una Gibson ES-140 T 3-4. Con quello strumento Pat aveva cominciato a scoprire nuove cose: Miles Davis per esempio, che già aveva inciso Nefertiti e Filles de Kilimanjaro, e soprattutto Wes Montgomery, chitarrista principe fra i jazzisti alla fine degli anni sessanta. Pat diventò quello che in gergo si chiama "a basic jazz purist snob", ovvero un consumatore di solo jazz. "Quando la gente mi chiede a quanti anni ho iniziato a suonare rispondo a quattordici" ricorda Pat "perchè fu allora che cominciai a studiare seriamente Wes, Miles, Cannonball Adderley, Ornette Coleman e John Coltrane". Il jazz, dunque, era la strada che Pat aveva deciso di percorrere: e allora eccolo a Boston al celebre Berklle College of Music, prima come allievo e poi, appena diplomato, come insegnante: un caso assai raro in quella scuola dove non è facile sfondare. Menu

 

 

IL SUCCESSO

 

Pat Metheny e Sonny Rollins

Già allora Pat indossava sui jeans delle magliette a righe, per lo più blu: continua a farlo ancora oggi, incurante della popolarità. L'anno successivo all'incisione di Offramp, che gli diede il suo primo Grammy (l'Oscar della musica), suonò con il sassofonista Sonny Rollins che di lui disse: "Pat è uno straordinario musicista, preciso e brillante. I nostri concerti furono sempre ben riusciti. Le sue radici be bop gli furono veramente utili. Purtroppo i due tour finirono molto presto". Nel 1982 anche il referendum di "Guitar Player" lo indicava come miglior chitarrista dell'anno. Ma il titolo non gli diede alla testa: Pat rimase il ragazzo semplice di sempre. Tutti lo volevano: suonava con Wynton Marsalis, Jack DeJohnette, Charlie Haden, Herbie Hancock; incideva con Jim Hall, un altro dei suoi miti. Si facevano sempre più stretti i legami con i musicisti che lo avevano assecondato fin dalle prime prove: per esempio Lyle Mays, pianista di grande creatività, il batterista Paul Wertico, il percussionista brasiliano Nana Vasconcelos, il bassista Steve Rodby e il cantante David Blamires. Menu

 

 

UNO STILE INCONFONDIBILE

 

Un concerto di dimostrazione della chitarra elettrica Gibson,1939, da sinistra: Charlie Christian, Slam Stewart e Teddy Bunn

Del resto la sua musica non ha confini. Pat non vuole sentir parlare di fusion, un'etichetta troppo banale per lui, ma certamente egli è uno strumentista molto capace e un artista curioso che ama cimentarsi con ogni possibile stile. Non si preoccupa che si tratti di pop, di rock, di jazz o di chissà che altro: lui suona, fa musica e i risultati gli danno ragione. Il suo modo di suonare deriva direttamente dalla tromba e dal sassofono, sopratutto perchè con lui, e con altri del suo periodo, è l'uso della chitarra elettrica che muta. Charlie Christian, uno dei pionieri di questo strumento alla fine degli anni trenta, suonava pizzicando e lasciando alla chitarra elettrica il vecchio suono, sia pure con maggiori possibilità di volume. Pat ne cambia il linguaggio: le sue note sono lunghe, modulate, cantano come se fossero prodotte da uno strumento a fiato e più la tecnica offre incentivi più lui ne approfitta per diventare egli stesso un'orchestra. Con la chitarra può inventare ogni suono possibile ma, fortunatamente, ha buon gusto e senso della misura: così rimane sempre nei canoni di un'estetica corretta, pur offrendo agli appassionati un'incredibile gamma di sonorità. Per esempio, dopo tanti dischi che i jazzisti hanno messo in discussione pensando che non fossero abbastanza jazz ecco l'ultimo, Quartet, che addirittura si avvicina al jazz acustico. Menu

 

 

JOHN MCLAUGHLIN

 

Altro alfiere di questa musica che travalica i confini è John McLaughin, inglese di nascita, poi newyorkese per passione jazzistica, infine parigino. "Sono nato nel 1942 in un piccolo paese dello Yorkshire, in Inghilterra" racconta. "Mio padre era un ingegnere, mia madre una casalinga che suonava il violino. A otto anni ho cominciato a prendere lezioni di piano. In quel periodo in Inghilterra stava scoppiando la passione per il blues. Così anche in casa mia sono arrivati i primi dischi di Ledbelly, di Muddy Waters, di Big Bill Broonzy: erano fantastici, mi avevano letteralmente conquistato. Poi avevo conosciuto altri chitarristi, tra i quali Tal Farlow e Django Reinhardt e con lui quello stupendo violinista che è Grappelli. Il primo ingaggio fu con i Professors of Ragtime, un gruppo di dilettanti, ma sentivo l'assoluta necessità di andare a Londra, patria di ogni cosa artistica. Lì conobbi Alexis Korner ed entrai a far parte della Graham Bond Organisation. Il secondo innamoramento fu per il Miles Davis di Into the Cool e cpii che quella era la mia musica. Ma Londra non mi offriva possibilità in quel senso: continuavo a lavorare con Eric Clapton, con Ginger Baker, con Graham Bond, tutti musicisti diventati famosi. E fu Bond ad avviarmi anche verso una ricerca interiore. Cercai allora di capire meglio le cose, lessi il possibile, finchè non incappai in un libro di Ramana Maharshi, un indiano dai grandi pensieri. Fu così che pensai di iscrivermi alla London Theosophical Society. Attraverso un disco di Ravi Shankar, che era già un sitarista molto noto, scoprii anche la musica indiana e mi avviai verso quella formazione spirituale che mi aiuta molto nella vita. Capii inoltre che era inutile continuare a suonare blues in qualche modo o ad accompagnare cantanti commerciali, tanto per sopravvivere. Presi le mie poche cose e me ne tornai a casa". Poteva sembrare una rinuncia e invece fu un momento di crescita. John ebbe modo di meditare sulle nuove conoscenze e sul suo possibile futuro e avvertì, imperioso, il desiderio di uscire dal piccolo mondo inglese per entrare in quell'altro senza confini della grande musica. "Mi trasferii in Germania e cominciai a suonare con Gunter Humpel. Facevamo del free, ma mi rendevo conto che per suonarlo bisognava prima padroneggiare armonia e melodia, farsi una personalità, avere una grande forza interiore. In caso contrario era meglio lasciar perdere. Studiai con maggiore ostinazione. Vivevo ad Anversa e tornavo spesso a Londra dove suonavo con Dave Holland e Tony Oxley, due musicisti straordinari. Ma mai avrei pensato che, a un tratto, Dave Holland potesse andare negli Stati Uniti e lavorare con Miles Davis". Menu

 

 

L'ARRIVO A NEW YORK

Invece era proprio accaduto e poco dopo, nel febbraio del 1969, anche John era a New York per incidere con Miles. "Non dimenticherò mai" continua John "quello che mi capitò di vedere: Miles che parlava con Louis Armstrong e Dizzy Gillespie. E con loro c'erano anche Wayne Shorter, Chick Corea, Jack DeJohnette e Gil Evans: un sogno". John era a New York da soli tre giorni quando si era trovato catapultato in una sala d'incisione insieme a Miles Davis e a gente del calibro di Joe Zawinul ed Herbie Hancock. Joe aveva portato un suo pezzo nuovo, con molti accordi difficili: si trattava di "In a Silent Way", un tema diventato in seguito famosissimo. Quell'incontro fu così felice che Miles Davis chies subito a John di entrare nel suo gruppo. Lui, che si era già impegnato con il batterista Tony Williams per suonare con i suoi Lifetime, aveva dovuto, chissà con quale sofferenza, dire di no. Quella con il gruppo di Williams fu un'esperienza straordinaria, anche se negativa sul piano commerciale. Spiega John: "Fu un trauma incidere il primo disco coi lifetime. Lo mixarono senza che noi fossimo presenti. Il sound era orribile. Mi accorsi allora che in America non avevano alcun rispetto nè per la musica, nè per i musicisti. Mi sono anche convinto che in America non capiscono il jazz, non capiscono la loro musica". Menu

 

 

IL GREENWICH VILLAGE

Il Greenwich Village, o più  semplicemente il Village per gli abitanti del quartiere, è stato un villaggio agricolo fin quasi alla metà del secolo scorso. Qui si stabilirono, per via degli affitti meno cari, tutti i protagonisti della beat generation, da Kerouac a Corso, da Bourroughs a Ginsberg e, dopo di loro, il pittore Andy Warhol e poi i jazzisti del calibro di Thelonious Monk, Ornette Coleman, Charles Mingus. Ora è il quartiere degli artisti e dei jazz club. Il Village Vanguard è uno dei locali storici del jazz. Nacque il 26 febbraio 1934 con una serata di poesia. Il suo fondatore e proprietario, Max Gordon, diede spazio al cabaret e la sua prima protagonista fu una ragazzina di nome Judy Holliday. Venne poi il periodo folk con Belafonte, con Richard Dyer-Bennet che cantava ballate scozzesi, con l'attrice Carol Channing che, disperatamente, tentava di cantare accompagnata dal pianista Eddie Heywood. Infine il jazz con tutti i grandi da Davis a Coltrane, a Rollins a Gillespie e a Parker. L'indirizzo? 178 Settima Avenue, all'angolo con l'Undicesima Strada. Sulla stessa strada, al numero 88, si apre lo Sweet Basil, reso celebre dalla lunga permanenza dei jazz Messengers di Art Blakey e dalla big band di Gil Evans. A pochi passi c'è il Blue Note, dove ha suonato anche Paolo Conte. Il Village Gate è il locale tra i più celebri del jazz newyorkese, fu aperto nel 1958 al numero 160 della Bleecker Street. Altri generi in rapporto con il jazz trovano ospitalità in locali anche più originali come il Mercury Lounge o il Tunnel Club, dove ai concerti si affiancano quasi sempre mostre di pittura e di scultura, oppure al cafè Wha, popolare per aver ospitato Jimi Hendrix e B.B. King; o al The Bitter End, che vanta il debutto di Bob Dylan, di Joan Baez, di Joni Mitchell e di altri cantanti entrati nel mito. Washington Square è la piazza preferita dai jazzisti da strada, dai mimi, dagli acrobati, dai ballerini e da chiunque voglia dare spettacolo. Menu

 

 

LE SUGGESTIONI DELL'ORIENTE

 

1996: Paco De Lucia, Al Di Meola e John McLaughlin durante un concerto a Verona

Era stato brutto, per John, scoprire il lato commerciale degli americani. C'era l'euforia di suonare con i grandi del jazz, ma anche l'afflizione di non essere capito dalla gente. Per fortuna, proprio mentre stava per essere colto da una crisi depressiva, aveva conosciuto Sri Chinmoy, un guru che da quel momento avrebbe esercitato una grande influenza sul suo pensiero e sulla sua stabilità anche fisica. Intanto la vita jazzistica continuava. John suonava un pò con tutti ma aveva in mente di riunire un suo gruppo. Joe Zawinul e Wayne Shortes stavano fondando i Weather Report, la più straordinaria formazione di jazz-rock della storia: l'avevano chiamato per unirsi a loro, ma lui aveva rinunciato. Poco dopo era riuscito a mettere insieme un gruppo con Jan Hammer, Billy Cobham, Jerry Goodman e Rick Laird. Fu Sri Chinmoy a chiamarla Mahavishnu Orchestra e i due dischi incisi, Bird of Fire e Inner Mounting Flame, restano a documentare un eccezionale momento del jazz-rock. La Mahavishnu Orchestra si sciolse per le incomprensioni di Hammer e Goodman. John ne varò allora una seconda con lo stesso nome, che però non è mai riuscita a raggiungere le intense atmosfere della prima. John è di parere contrario. Dice: "Penso che Visions of the Emerald Beyond, realizzato con l'aggiunta di un quartetto d'archi, sia una delle mie cose più belle". Intanto nasceva Shakti, un gruppo di musicisti indiani. John McLaughlin era l'unico occidentale. Ma era L'America, con le sue crudeltà e le sue indifferenze, a non consentire a John una vita decente. Così aveva deciso di tornare in Europa. Casa a Parigi, dunque, ma vita in giro fra Londra, Roma, Berlino, Madrid, festival ovunque e sempre nuove formazioni fino al ritorno al trio, magari ancora con un indiano come compagno privilegiato, il percussionista Trilok Gurtu. L'esoerienza più recente di McLaughlin è legata comunque alle tournèe del famosissimo Guitar trio, formato insieme a Paco De Lucia e Al Di Meola. Questi tre straordinari strumentisti sono riusciti ad attirare verso il jazz l'attenzione di un pubblico sempre più vasto, proprio in una fase storica in cui il jazz sembra aver smesso di scatenare gli entusiasmi del passato. Menu

 

 

LA CHITARRA JAZZ

La storia della chitarra moderna cominciò nel 1939 con Charlie Christian. Prima di lui la chitarra aveva avuto una semplice funzione di accompagnamento e veniva suonata ad accordi col solo scopo di sostenere gli strumenti principali. Christian ruppe questa tradizione e impose la chitarra come strumento solista, e dei più duttili. Contemporaneamente, a Parigi, Django Reinhardt faceva qualcosa di simile e dava il via a una scuola che ha avuto strumentisti prestigiosi come Earl Klugh, David Grisman. Larry Coryell, Christian Escoude e Philip Catherine. Negli anni sessanta fu invece Wes Montgomery il chitarrista più apprezzato: con i fratelli, il pianista e vibrafonista Buddy e il bassista Monk, aveva costituito un trio che era un raro esempio di equilibrio e di modernità. Ma anche lui era finito nel giro della musica commerciale. Il suo modo di costruire melodie per accordi ha fatto comunque scuola e il suo discepolo migliore è certo quel George Benson che, tuttavia, ha da tempo abdicato  al jazz per darsi alla canzone di consumo. Grande virtuoso a noi contemporaneo di questo strumento è invece Al Di Meola, jazzista che lo rende appetibile a un grande pubblico di appassionati. Ricordiamo infine Paco De Lucia, un chitarrista che con il jazz nulla ha da spartire, ma che si è spesso trovato a dividere la scena con jazzisti. Paco è un gitano spagnolo, viene dal flamenco ed esprime con il suo strumento tutte le passioni e tutti i languori del popolare genere iberico e tuttavia, proprio per la sua tecnica invidiabile, è chiamato spesso a confrontarsi con jazzisti autentici. Pagina iniziale

 

 

 

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