ELLINGTON E L'ERA DELLO SWING
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Nel 1940 Franklin Delano Roosevelt fu eletto per la terza volta presidente degli Stati Uniti. Si era alla vigilia di una guerra rovinosa per tutti. Già nei primi mesi dell'anno i politici americani sapevano di dovere, prima o poi, prendere la terribile decisione di intervenire nel conflitto al fianco dell'Inghilterra e della Francia contro la Germania, l'Italia e il Giappone. La gente comune sembrava però non rendersene conto. Messa alle strette dalle richieste sempre più pressanti di materiale bellico da parte del governo, l'industria assumeva manodopera nera, creando così una momentanea prosperità. Sembrava che finalmente ci fosse denaro per tutti, e così l'intera nazione si incamminò verso la guerra con spensieratezza. Quartiere nero per eccellenza, Harlem trasse da questo rinnovato vigore industriale un benefico contraccolpo. Il ghetto trovò in sè la forza per risollevarsi dall'inerzia, in questo aiuto dal governo della città che aveva bisogno di braccia e dovette cercarle anche fra i neri. Anche come centro della vita notturna Harlem riacquistò la sua vitalità: Joe Louis, ex campione di boxe, aprì un ristorante sulla Centoventicinquesima. Qualche anno dopo fu inaugurato il Count Basie Bar, mentre lo Small Paradise attirava gente di ogni risma. Si avvertiva insomma un'aria di rinnovamento. Menu |
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I newyorkesi, bianchi o neri, erano usciti dalla crisi economica del 1929 con una gran voglia di divertirsi e avevano trovato, nelle sale da ballo, nei saloni dei grandi alberghi, nei teatri, ovunque insomma, orchestre swing capaci di far dimenticare gli anni bui. Come stile, lo swing stava già iniziando a declinare. Il suo periodo di gloria era infatti coinciso con gli ultimi anni trenta ed era culminato il 16gennaio 1938 con il celebre concerto di Benny Goodman alla Carnegie Hall. In quella circostanza, per la prima volta nella storia della musica, i giovani presenti avevano le poltrone e ballato nei corridoi, e poi si erano ammassati sotto il palcoscenico costringendo il direttore del teatro a chiamare la polizia. Era scoppiata la swing craze, una sorta di follia collettiva che spingeva la gente a ballare. Fino a quel momento il jazz era stato nero. I benpensanti lo giudicavano rissoso e volgare; non lo avrebbero mai ammesso nelle loro case. Così nei negozi i dischi si vendevano, ma sotto banco: race record, li chiamavano, e si avvertiva una sorta di ostracismo contro quella musica che esprimeva troppo vistosamente l'anima nera. Alcune orchestre bianche avevano però approfittato della situazione per stemperare la poetica del jazz autentico in una sorta di musica commestibile, realizzata a uso e consumo della buona borghesia. Menu |
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La storia di questo stile era iniziata nei malfamati locali di Kansas City dove le orchestre di Bennie Moten, di Count Basie, la pianista Mary Lou Williams e tanti altri avevano dato vita a una musica che nasceva dai blues e faceva del ritmo il suo credo. Era brillante, chiassosa, irresistibile. Sull'onda di questo jazz, che restava un fenomeno per pochi, Benny Goodman, Artie Shaw, Glenn Miller, Tommy Dorsey e altri ancora avevano creato uno straordinario successo bianco, aiutati in ciò anche dalle radio che, in quella musica, avevano trovato qualcosa di nuovo e di facilmente digeribile. Così all'Apollo Theater di New York ogni sera si proponevano contest di orchestre, battaglie a colpi di tromba che esaltavano un pubblico disprezzato dai nuovi intellettuali neri. Lo swing dei bianchi fu una sorta di capovolgimento dello stile New Orleans. Mentre quest'ultimo aveva ridotto a un singolo strumento solista le sezioni delle bande militari (sassofoni, trombe, tromboni), lo swing ricreava grandi orchestre capaci di trascinare la gente al ballo con i suoi ritmi indiavolati, ma pronte anche a sdolcinarsi in languide suggestioni. Fu in questa atmosfera che si sviluppò la musica di Ellington. Menu |
ELLINGTON, GLI ANNI DI FORMAZIONE
Edward Kennedy Ellington era nato a Washintton il 29 aprile 1899 in una famiglia nera di condizioni quasi agiate. Il padre James aveva fatto il maggiordomo in casa di un medico e si era poi messo in proprio, organizzando pranzi e feste per le ricche famiglie della borghesia; si dice che avesse servito addirittura alla Casa Bianca. Per il piccolo Duke sembrava aperta una felice carriera di disegnatore pubblicitario: aveva fin da ragazzo un tratto sicuro e buone intuizioni. Nessuno, insomma, avrebbe mai supposto in lui il musicista. Era anche svogliato e la scuola non la digeriva. Così aveva cominciato a frequentare un giro di giovani che non masticavano altro che musica e lui stesso si era messo a pasticciare sul pianoforte che, come spesso accadeva nelle case borghesi, aveva studiato un pò da bambino. In quegli anni del primo novecento a Washington si ascoltava, come un pò dovunque negli Stati Uniti, il ragtime, una musica pianistica in in due quarti di chiara derivazione africana ma composta ed eseguita come si faceva con quella classica, ovvero scritta e interpretata. Scott Joplin era l'autore più noto di questo genere, ma nonostante la sua popolarità era morto in miseria nel 1917 a soli 49 anni. Nei salotti le ragazze di buona famiglia cantavano e suonavano al piano le canzoni di Stephen Foster; sulle piazze le bande eseguivano le composizioni di John Philip Sousa. Esisteva anche un'altra musica americana, quella che discendeva dal mondo classico europeo, ma pochissimi conoscevano i nomi di Carl Ruggles, di Roy Harris o di Charles Ives, colui che sarebbe poi diventato il più autentico degli eroi americani, per quanto riguarda la musica, prima e dopo i successi di Gershwin. Menu |
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Il giovane Ellington fece le sue prime esperienze nei bar e nei locali notturni della sua città: sale da biliardo dove si giocava d'azzardo, dove si imparavano tutti itrucchi del poker e dove lui beveva fino all'alba, flirtando con ragazze sempre disponibili. Lavava piatti, serviva ai tavoli, ma suonava anche il pianoforte quando il pianista ufficiale si assentava. Aveva anche messo in piedi un'organizzazione che forniva orchestre di ogni genere, riunite sempre fra i pochi amici che facevano bisboccia con lui. A quell'epoca i locali notturni erano un rifugio di gangster e di trafficanti di alcol che infrangevano il diciottesimo emendamento alla Costituzione -quello che nel 1919 aveva dato via al proibizionismo- vendendo illegalmente il moonshiner, ovvero il whisky fabbricato clandestinamente al chiaro di luna. Anche i jazzisti avevano dovuto adattarsi civentando, loro malgrado, complici e vittime della situazione. Menu |
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Il solo compito apparente di Ellington all'inizio della sua carriera era quello di far ballare la gente, divertirla. Naturalmente la sua meta era New York. Ci arrivò nel 1923, ma il primo contatto fu un fallimento e dovette ritornare a Washington. Il suo amico Fats Waller, pianista di straordinarie qualità, lo spinse però di nuovo verso La Grande Mela convincendolo ad accettare un ingaggio all'Holliwood Club, il locale che poi avrebbe preso il nome di Kentucky Club. Con il Duca c'erano alcuni dei vecchi amici: Sonny Greer alla batteria, Arthur Whetsol alla tromba, Otto Hardwick al contralto. A questa formazione, che prese il nome di Washingtonians, si aggiunse poi il trombonista di New Orleans Charlie Irvis, che diede all'orchestra un suono più hot. Fino al suo arrivo, infatti, l'orchestra avrebbe potuto essere definita sweet: suonava musica da ballo e faceva il possibile per piacere al pubblico bianco. Dopo un pò Whetsol tornò a Washington per laurearsi in medicina e fu sostituito da Bubber Miley, uno specialista delle sordine che diede carattere al gruppo e che avrebbe lavorato per sei anni con Ellington, firmando insieme a lui alcuni temi diventati classici come Creole Love Call o Black and Tan Fantasy. Anche Irvis lasciò poi la formazione e al suo posto arrivò Joe Nanton, detto "Tricky Sam". Menu |
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Ma fu con l'ingresso al Cotton club, nel 1927, che l'orchestra diventò popolare e che il nome di Ellington cominciò a circolare in tutti i locali di New York. "Il Cotton Club era un locale elegante" raccontava Ellington. "Si trovava al secondo piano dell'angolo nord-est fra la Centoquarantaduesima Strada e Lenox Avenue. Sotto c'era quello che in origine era stato il Douglas Theatre e che diventerà più tardi il Golden Gate Ballroom. La sala superiore era stata progettata per il ballo, ma per un certo tempo l'ex campione dei pesi massimi Jack Johnson aveva diretto il locale come Club de Luxe. Era un cabaret grande per quei tempi e poteva ospitare circa cinquecento persone. Quando una nuova società lo rilevò negli anni venti, Lew Leslie ebbe l'incarico di produrre degli show. L'orchestra del locale era diretta da Andy Preer, che morì proprio nel 1927. La domenica sera al Cotton Club avveniva di tutto. Le grandi star che si trovavano a New York, non importa dove stessero lavorando, si facevano vedere al Cotton Club per ricevere l'omaggio dei loro fan. Quando qualcuno come Sophie Tucker si alzava in piedi, noi suonavamo la sua canzone, Some of These Days, mentre scrosciavano gli applausi. Tutto veniva fatto in grande stile". Fu proprio al Cotton Club che nacque il cosiddetto jungle style. Ellington si trovò a far fronte a una crescente richiesta di esotismo: il pubblico voleva l'Africa e lui si adeguò con grande naturalezza senza sentirsi sminuito. Doveva accompagnare con la sua musica ragazze poco vestite che ballavano tra finte palme: la gente voleva la foresta, lo stregone, il mito della magia nera, la danza tribale, forse per liberarsi dai rigidi schemi della società di quegli anni, puritana e proprio per questo desiderosa di sregolatezza. Ellington stava al gioco. Erano le sordine di Trycky Sam Nanton e Bubber Miley a creare l'atmosfera. Nacquero in questo modo temi come Jungle Blues e come Echoes of the Jungle. E durante la permanenza al Cotton Club, che si protrasse fino al 1931, Duke e la sua orchestra registrarono per la Brunswick e la Mellotone sotto il nome di Jungle Band. Menu |
Intanto Ellington aveva cominciato a essere consapevole della sua forza creativa, spingendosi verso composizioni per così dire più colte. Già nel 1927 aveva inserito in Black and Tan Fantasy, che potrebbe essere il rifacimento di un canto sacro di Stephen Adams, una citazione della Marcia funebre dalla Sonata op. 35 per pianoforte di Chopin. E quando nel 1931 scrisse la Creole Rhapsody continuò a manifestarvi queste ambizioni concertistiche sulle tracce di quella Rhapsody in Blue che Gershwin aveva presentato nel 1924. Ancora più emblematica in tal senso è una composizione di qualche anno dopo, Reminiscing in Tempo, scritta in memoria della madre. Quando esplose la swing-craze, Ellington non si fece tuttavia coinvolgere più di tanto. "Sono stato io" raccontava il Duca poco prima di morire "a usare per primo il termine swing. Eravamo nel 1932 e intitolammo un song It Don't Mean a Thing (If It Ain't Got That Swing): quattro anni dopo scoppiava l'era dello swing". Menu |
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Nel 1939 entrò nel gruppo di Ellington anche un giovane che gli si era presentato come autore di parole, ma che poi sarebbe diventato il pianista e l'arrangiatore dell'orchestra: Billy Strayhorn. Il suo ingresso mise in crisi la convivenza di Ellington con il figlio Mercer, che si preparava a entrare nell'orchestra come trombettista e soprattutto come arrangiatore e deus ex machina dell'organizzazione. Raccontava Ellington a proposito di Billy: "Sono in debito con lui per il coraggio che mi ha dato fin dal 1939. Era quello che mi ascoltava, che mi criticava, che mi aiutava". Smething to Live for fu il primo tema di Ellington in calce al quale appariva anche la firma di Billy come paroliere. L'anno successivo all'arrivo di Strayhorn l'orchestra di Ellington era formata da Cootie Williams, Rex Stewart e Wallace Jones alle trombe; Joe Nanton, Lawrence Brown e Juan Tizol ai tromboni; Otto Hardwick, Johnny Hodges, Ben Webster ed Henry Carney ai sassofoni; Barney Bigard al clarinetto; Fred Guy alla chitarra; Jimmy Blanton al contrabbasso e Sonny Greer alla batteria. Ma questa formazione, la migliore che Ellington abbia mai avuto, non doveva durare a lungo: alla fine dell'anno Cootie Williams andò con Benny Goodman e fu sostituito da Ray Nance, trombettista, violinista e cantante. In seguito anche il clarinettista e tenorsassofonista Barney Bigard lasciò la formazione, e al suo posto arrivò Jimmy Hamilton. Menu |
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Nel 1943, mentre nel mondo infuriava la guerra, New York volle ricordare i vent'anni dal debutto di Duke Ellington con una settimana di festeggiamenti: un evento straordinario, se ci si ricorda del colore del Duca e dei suoi musicisti. Le celebrazioni si conclusero con un concerto alla Carnegie Hall (il primo di una serie di appuntamenti che si sarebbero ripetuti ogni anno), per il quale Ellington scrisse una suite di quarantacinque minuti intitolata Black, Brown and Beige. Strutturata originariamente in cinque sezioni, questa composizione voleva raccontare la storia del popolo nero attraverso la sua musica. Fu però accolta freddamente dalla critica, che comunque giudicò complessivamente con favore il resto della serata. Sempre alla Carnegie Hall, nel 1945, Ellington presentò The Perfume Suite, un'operina deliziosa; l'anno dopo fu la volta della Deep South Suite, mai registrata integralmente e della quale è popolare soltanto il dinamico finale intitolato Happy-go-lacky-local. Nel 1947, dopo essersi dedicato a una serie di brevi composizioni eleganti come Lady Lavander Mist, su richiesta del governo liberiano che festeggiava i cento anni della sua costituzione compose la Liberian Suite, che poi presentò al pubblico della Carnegie Hall. A questo lavoro seguiranno altre ambiziose opere per orchestra, tra le quali Such Sweet Thunder e Night Creatures. Menu |
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IL JAZZ NELLE SALE DA CONCERTO Da quel momento Duke Ellington, ormai consacrato come uno dei maggiori compositori americani del novecento, ha realizzato un'enorme mole di lavoro, sempre di ottimo livello e sempre più cercando di portare il jazz, o meglio la blak music come lui preferiva chiamarla, nelle sale da concerto con opere di prestigio: New World a-Comin' per esempio, o la Harlem Suite. Anche il cinema, che fino a quel momento lo aveva chiamato per interpretare ruoli di scarso rilievo, cominciò ad affidargli colonne sonore di film importanti, come Anatomy of a Murder o Paris Blues. Più avanti Ellington si convinse anche della necessità di scrivere musica religiosa: così nel 1965 presentò a San Francisco e subito dopo nella chiesa presbiteriana della Quinta Strada di New York, la Grace Cathedral, il suo primo concerto sacro. Un brutto colpo lo ricevette nel 1967 quando morì Billy Strayhorn, distrutto da un tumore. Nel 1969 ottenne da Richard Nixon la Presidential Medal of Honor e all'inizio degli anni settanta la sua città adottiva, New York, decise addirittura di istituire un Duke Ellington Day. Menu |
RITRATTO DI UN UOMO DI SUCCESSO
Ma cosa ha fatto quest'uomo, in mezzo secolo di carriera, per meritarsi tutti questi attestati? Innanzitutto una musica decisamente americana, capace attraverso il suo sound e il suo ritmo di dare un ritratto autentico del sogno americano. Un grande compositore, si chiedono in molti? Forse no. Certo un autore che ha saputo prendere da tutti i suoi musicisti il meglio: le idee che giravano fra i suoi uomini, sulle strade, nei libri di quegli anni, lui ha saputo raccoglierle e trasformarle in musica. Spesso la scintilla di una composizione era di Cootie Williams, oppure di Hodges, o ancora di Strayhorn o magari di tutta l'orchestra, ma alla fine il tema era assolutamente suo. Ellington è morto il 24 maggio 1974. Aveva diretto l'orchestra, dalla quale negli ultimi tempi erano mancati tutti i vecchi eroi, fino a poco prima. E l'orchestra gli è sopravvissuta, guidata dal figlio Mercer che ha allestito anche un musical intitolato Sophisticated Ladies, col quale ha portato in giro per il mondo il ricordo di quell'uomo spesso indifferente, spesso ubriaco, spesso arrogante, spesso dittatore ma sempre artista e legato ai suoi uomini fino a consentire loro ogni libertà, anche quando questa andava a scapito della musica. Qualcuno ha voluto trovare nelle sue composizioni i segni di una cultura europea che, passando attraverso Debussy, Ravel e Stravinskij, confluiva nella sua scrittura. Certamente, dagli anni quaranta in poi, il Duca ha avuto curiosità per così dire colte, ma non certo tali da snaturare le sue composizioni. Certe sonorità erano nell'aria e si muovevano insieme alla cultura internazionale con commistioni sempre più frequenti. Ma Ellington rimane un musicista unico, legato alla sua condizione di uomo di colore in una società intollerante, un autentico portavoce delle istanze del popolo nero, una bandiera per coloro che il Rinascimento nero attendono ancora. Menu |
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Definire questo stile musicale è praticamente impossibile. Ci hanno provato in tanti, ma senza risultato. Letteralmente, il termine swing significa comunque "dondolare". Andrè Hodier scrive in proposito:"E' inutile analizzare un elemento così poco palpabile come lo swing. Questo concetto che si sottrae a ogni precisa definizione e che vanamente tenteremmo di tradurre sulla carta, questo fenomeno che sotto nessuna forma preesiste a un'opera di jazz, anche quando ne costituisce il pregio principale, detesta le briglie del ragionamento. E' soltanto una certa maniera di vivere il ritmo". E Joost van Praag, altro storico del jazz, un pò oscuramente sostiene:"Lo swing è la tensione psichica nata da un'attrazione del ritmo per il metro". Lucien Malson ricorre invece a un paradiso freudiano: "Lo swing è un dispiacere collegato a un piacere". Meglio allora la definizione che ne dava Ella Fitzgerald: "Lo swing è quella cosa che... beh, una cosa che ti senti addosso, qualcosa che hai nel sangue e che, se non ce l'hai, meglio che lasci perdere col jazz". Pagina iniziale |
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