TRE GENI DEL PIANOFORTE

 

Scott Joplin

Cominciata con i ritmi sincopati del ragtime, la storia del pianoforte jazz culmina negli anni Quaranta con lo straordinario talento di Art Tatum, Thelonious Monk e Bud Powell.

 

il pianoforte e gli schiavi

un tempo sincopato: il rigtime

uno strumento molto versatile

Bix e gli altri

le nuove strade

il pianoforte bop

Nat King Cole

il virtusismo di Art Tatum

la rivoluzione di Thelonious

Bud Powell

stili a confronto

 

IL PIANOFORTE E GLI SCHIAVI

Il pianoforte dev'essere stato un tempo l'incubo e il sogno degli schiavi neri. Uno strumento così nella loro cultura non esisteva, per quanto la mbira, detta oggi anche pianino africano, possedesse una sonorità abbastanza simile. La storia dell'amore fra il pianoforte e i neri cominciò probabilmente nelle grandi ville-fattorie della Louisiana, dove questo strumento era spesso presente. In quelle grandi case vivevano, in qualità di schiavi, parecchi neri che avvertivano il fascino di quello strumento, così insolito ma anche vagamente familiare per la sua natura percussiva. Quando i padroni non erano in casa, i neri tentavano di ripetere sulla tastiera le melodie che avevano udito suonare. Naturalmente a modo loro, e con scansioni ritmiche diverse da quelle che lo spartito avrebbe indicato.   Menu

 

 

 UN TEMPO SINCOPATO: IL RAGTIME

In seguito alcuni neri, soprattutto i creoli, ebbero la possibilità di studiare il pianoforte o per lo meno di pasticciare sulla tastiera. Dapprima si limitarono a strimpellarvi le canzonette alla moda, poi elaborarono una tecnica più originale che derivava dalla tradizione europea ma che profumava d'Africa per via delle scansioni ritmiche. Nacque così il ragtime, letteralmente "tempo stracciato", "sincopato". Scott Joplin fu il suo grande, anche se misconosciuto, eroe. Scott conosceva la musica, era in grado di scriverla, in pratica era un musicista tradizionale, ma il ritmo che aveva nel sangue lo spingeva a segnare sincopi laddove un altro avrebbe lasciato semplicemente uno spazio. E il pianoforte, per la sua natura percussiva, era lo strumento che meglio esprimeva il nuovo stile. Altri musicisti, tra i quali Jelly Roll Morton, fusero poi il ragtime con altri generi musicali, gettando le fondamenta per la nascita del jazz.   Menu

 

 

 UNO STRUMENTO MOLTO VERSATILE

Il pianoforte aveva anche un'altra caratteristica importante: con le sue sette ottave di estensione consentiva di realizzare tutta la gamma dei suoni e permetteva di costruire, con la mano sinistra, una base armopnica sulla quale sviluppare, con la destra, la melodia: in pratica era la sintesi di un'intera orchestra. Questo significava che si poteva utilizzare in tutti i modi, con la dolcezza necessaria per far ballare una coppia in vena di sentimento e con l'esuberanza di ritmi più scatenati. Nella prima fase del jazz, comunque, salvo per pochi artisti e in altrettante poche occasioni, il pianoforte veniva usato proprio per la sua propensione armonica: era lo strumento che dettava il ritmo a tutti gli altri. Il pianoforte veniva inoltre usato nelle case editrici di Tin Pan Alley, la strada della canzone di New York, per far ascoltare i motivi ai cantanti e agli orchestrali, in modo da vendere le partiture: James P.Johnson fu forse il più grande dei pianisti di Tin Pan Alley.   Menu

 

 

 

BIX E GLI ALTRI

Bix Beiderbecke

Fu un bianco, Bix Beiderbecke, famoso come cornettista, a dare al pianoforte una nuova dimensione: il suo In a Mist è oggi un tema storico. Con lui nacque il solista di pianoforte. Il jazz tradizionale della fine degli anni venti ebbe comunque il suo eroe in Earl Hines, il padre di molti dei pianisti dell'era dello swing, da Fast Waller a Willie "the lion" Smith, dal grande Art Tatum a Duke Ellington, che era tuttavia influenzato più da  James P. Johnson che da altri. Questi pianisti adottarono lo stride, uno stile che fondeva due tecniche diverse: la mano sinistra armonizzava marcando il tempo in modo molto deciso, mentre la destra scorazzava sulla tastiera sciabolando terzine e trilli. Tra la fine degli anni trenta e l'inizio dei quaranta c'erano anche pianisti che si riferivano direttamente ai blues, musica per chitarra trascritta per pianoforte. Furono loro, suonando i motivi con la mano destra usata in modo ritmicamente ossessivo edeseguendo fraseggi blues con la sinistra, a dare vita al boogie-woogie, uno stile straordinario per energia ed entusiasmo. E da loro discese Count Basie, un artista che, schiacciato dalla tecnica dei grandi come Art Tatum o Fats Waller, decise di rinunciare al virtuosismo: suonava in pratica soltanto con la mano sinistra, note solitarie, dinamiche, a effetto, lasciando l'orchestra, o solo alla sezione ritmica, il compito di sostenerlo. Con risultati swinganti e travolgenti.   Menu

 

 

 

LE NUOVE STRADE

Fast Waller

Il jazz pianistico andò avanti fino a quando qualcuno, negli anni quaranta, cominciò a battere nuove strade: Thelonious Monk, per esempio, Bud Powell, Sir Charles Thompson e tanti altri i quali, come stavano facendo un pò tutti i nuovi musicisti -quelli che poi furono chiamati boppers- iniziarono a cambiare gli accordi tradizionali. Delle tre note dell'accordo base più semplice ne mutavano una: poteva sembrare una stonatura, ma in realtà (e la musica dotta lo aveva già fatto da tempo) la dissonanza forniva loro nuove occasioni melodiche. Era una grande rivoluzione.   Menu

 

 

IL PIANOFORTE BOP

 

Willie "the lion" Smith

Una delle prime palestre per questi giovani pianisti trasgressivi, a parte i gruppi che suonavano al Minton's e nei locali della Cinquantaduesima strada, fu l'orchestra di Earl Hines, il pianista che alla fine degli anni venti aveva realizzato con Louis Armstrong alcune incisioni rimaste storiche. Hines non era un rivoluzionario, ma un musicista attento ai mutamenti sociali e si rese subito conto che quei ragazzi avevano davvero qualcosa da dire. Così la sua formazione diventò la culla della nuova musica, un'orchestra colma di giovani ribelli: Dizzy, barbetta e berretto sempre in testa, quando non occhiali neri e cappotto, insieme a Charlie Parker e poi Benny Harris, Gail Brockman e Shorty McConnel alle trombe, Benny Green al trombone, Shadow Wilson alla batteria e altri. L'orchestra debuttò all'Apollo Theater di Harlem il 15 gennaio 1943, poi cominciò a girare nei locali con l'aggiunta di due giovani cantanti, Billy Eckstine e Sarah Vaughan, che allora era una splendida ragazza di diciannove anni dalla straordinaria estensione vocale. Himes tornò poi ai suoi vecchi amori, ossia a una musica meno aggressiva e innovativa. Come pianista, continuava a esprimersi secondo i canoni che lo avevano reso popolare: una robusta mano sinistra che scandiva le armonie con grande dinamismo ma anche con metronomica precisione e una sinistra brillante che inventava arpeggi e trilli. E del resto aveva davvero poco da cambiare. La sua tecnica era straordinaria, il suo fraseggio limpido e dinamico. Certo, ascoltando oggi quel suo interminabile St Louis Blues eseguito con una serie di svolazzi che con il buon gusto poco hanno da spartire, c'è da cambiare subito CD, ma buona parte della sua produzione è di alta classe e rivela una straordinaria capacità di armonizzare.   Menu

 

 

NAT KING COLE

                                                

James P. Johnson                                                                         Nat King Cole

Accanto a Earl Hines una altro pianista cresceva intanto nella stima degli appassionati: era Nat Cole, che nel 1939 formò il suo primo trio con Oscar Moore alla chitarra e Wesley Prince al contrabbasso e l'anno seguente si unì per alcune registrazioni a Lionel Hampton, ottenendo un successo straordinario. Cole, che poi è stato definito King, aveva un tocco raffinato, un modo originale di affrontare i temi, un temperamento romantico ma per nulla sdolcinato: le sue interpretazioni, anche quando suonava Sweet Lorraine, erano sintetiche e asciutte. Proprio con quel brano cominciò anche a cantare e il suo trio ebbe ancora più successo. Al punto che, con il passare degli anni, Nat lasciò a poco a poco il jazz per diventare uno dei crooner più applauditi d'America. Lo si può ascoltare anche in alcune registrazioni effettuate da Norman Granz all'insegna del Jazz at the Philharmonic: in alcuni di questi dischi, per ragioni di contratti discografici (Nat era legato alla Capitol), il pianista compariva sotto il nome di Shorty Nadine.   Menu

 

 

IL VIRTUOSISMO DI ART TATUM

 

Art Tatum

Ma la figura emblematica del pianismo di quegli anni fu quella di Art Tatum, un giovane praticamente cieco che aveva studiato anche la chitarra e il violino. Negli anni trenta cominciò a registrare per la Brunswick e una sua versione di Tiger Rag accese una polemica: Stèphane Grappelli, il violinista del quintetto dell'Hot Club de France che era anche pianista, giurava che nessuno avrebbe potuto suonare a quella velocità e con quel numero di note, perciò il disco, doveva essere stato registrato da due pianoforti. Ovviamente non era così e anche Grappelli dovette rendersene conto: Art Tatum possedeva una tecnica incredibile, un modo rapsodico di affrontare la melodia che infiorettava con una serie di arpeggi e grappoli di note. Suoi ispiratori erano stati Earl Hines e soprattutto Fats Waller, da cui aveva preso il gusto per l'improvvisazione e il virtuosismo: ogni sua interpretazione era una sorta di fuoco d'artificio, uno zampillare di note, un modo di suonare barocco e in qualche caso ampolloso, ma di notevole suggestione. Jean Cocteau, lo scrittore parigino, lo definì "uno Chopin impazzito" ma non vi era nulla di folle in quello che Tatum faceva. Al contrario il suo pianismo era sempre lucido e molte delle innovazioni che sono poi state introdotte nel jazz provengono direttamente dall'audacia con cui amministrava le armonie. Chi volesse vederlo all'opera, può farlo recuperando due film, The Fabulos Dorsey del 1947 e March of Times del 1948, in cui Tatum appare brevemente. Mentre per ascoltarlo, al meglio della sua ispirazione, bisogna ricorrere alla lunga serie di improvvisazioni che realizzò sotto l'egida di Norman Granz per la Pablo.   Menu

 

Tatum con Slam Stewart e Tiny Grimes al Three Dueces, 1944

 

 

 

LA RIVOLUZIONE DI THELONIOUS

 

Thelonious Monk

Se Tatum era il genio del pianoforte, un altro giovane pianista era, sempre in quei primi anni Quaranta, la punta di diamante di un nuovo linguaggio. Thelonious Monk è conosciuto come uno degli iniziatori del be bop ma, in realtà, non può essere collocato sotto alcuna etichetta: la sua originalità lo pone al di sopra di ogni stile, sia come interprete, sia come autore: basti pensare che a vent'anni aveva già composto quel Round Midnight che è diventato uno dei temi più famosi del jazz di ogni epoca. Secondo Max Roach, batterista e grande protagonista del periodo, ancora oggi in attività con idee sempre nuove, Monk era dotato di una tecnica alla Tatum. Eppure chi lo ascolta per la prima volta ha la sensazione di trovarsi di fronte a un artista che, per mancanza di tecnica strumentale, si sia inventato un linguaggio fatto di poche note martellate. In realtà Monk abdicò, per propria scelta, al virtuosismo (in quanto alla tecnica affiora spesso, soprattutto nei pochissimi blues che incise nel corso della carriera) per dare nuova incisività al suo discorso musicale. Il suo modo di suonare rivoluzionò non soltanto l'armonia ma anche il ritmo, che in molte occasioni appariva strettamente legato a quello africano. Altra sua caratteristica erano i silenzi usati come note, per dare colore e intensità alle sue interpretazioni. Monk suonava soltanto quando ne avvertiva la necessità, cosicchè in studio di registrazione nessuno poteva mai dire se si sarebbe potuto terminare il lavoro, perchè lui era capace di interrompere un tema, chiudere il pianoforte e andarsene. Ma in casa, racconta il figlio, era di umore sempre sereno, sempre sorridente, sempre pronto a raccontare una favola, a inventare una storiella, fino al giorno in cui, una decina di anni prima di morire (scomparve nel 1982), decise che non si sarebbe più alzato dal letto. E così fece: Monk, il santone del jazz moderno, smise di cantare senza una ragione apparente. Ma chi lo ha conosciuto assicura che aveva capito di aver ormai detto tutto: la sua arte, da quel momento in poi, sarebbe stata la copia di se stessa.   Menu

 

 

 

BUD POWELL

 

Bud Powell

Allievo, difensore e anche, per qualche verso, vittima di Monk fu un altro genio del pianoforte: Bud Powell. Fratello di Richie, anche lui buon pianista, deceduto giovanissimo nell'incidente automobilistico che strappò al jazz anche il trombettista Clifford Brown, Bud compì lunghi studi classici per poi passare alla musica afroamericana. Appena ventenne fu scoperto dagli uomini del be bop, che videro in lui il pianista ideale per le loro improvvisazioni. In una notte di gennaio del 1945 Monk si esibì in un locale nei pressi di Filadelfia. Bud era fra il pubblico. All'improvviso entrarono alcuni poliziotti per arrestare Monk; uno di loro strappò brutalmente il pianista dallo sgabello su cui era seduto. Bud si alzò gridando: "Cosa fate? Fermatevi, state picchiando il più grande pianista del mondo". Per tutta risposta un altro poliziotto alzò il suo randello e colpì Powell alla testa con molta violenza. Cominciò così l'odissea di Bud, sbattuto da un ospedale all'altro per via dei colori che da quel giorno lo tormentarono per tutta la vita. Gli ospedali dove si curava un nero, soprattutto se sospettato di avere qualche malattia mentale, non erano molto diversi da una prigione: Powell raccontò che nella sua cella aveva passato ore gridando per ottenere aiuto, ma che nessuno gli badava e che quando le sue urla si facevano più forti, interveniva qualcuno con un elettrochoc che lo privava dei sensi per qualche tempo. Un giovane medico appassionato di jazz riuscì comunque, non senza difficoltà, a procurargli un pianoforte e a farlo tornare alla vita. Ma il destino del pianista, ormai, era segnato.   Menu

 

 

 

STILI A CONFRONTO

Lo stile pianistico di Powell rimane nella storia come un punto fermo: se Monk è irripetibile per l'originalità del suo fraseggio, Powell, al contrario, diventa subito l'artista al quale ispirarsi. Con la sua grande padronanza della tastiera, Bud nella sua musica univa a una sorta di gioia estatica una vibrante intensità drammatica. Basterebbe ascoltare Celia o Just One of Those Things per scoprire autentici capolavori. Spesso, Bud era al limite della rottura. Il suo modo di usare le note era sempre a rischio e solo la tecnica gli consentiva di rimanere saldamente inserito nella tradizione, sia pure con frequenti incursioni fuori dai confini. La sua mano sinistra riassumeva non solo le armonie pianistiche ma anche la sottintesa presenza di un basso e di una batteria, come se suonasse in trio e non da solo, mentre la destra volava sulla tastiera costruendo splendide melodie che a volte sfuggono all'ascolto, data la velocità di esecuzione dell'artista. E quando poi prendeva in giro se stesso con Un poco loco (un pò matto), allora il suo virtuosismo si scioglieva con delicatezza in una sorta di lieve delirio. Bertrand Tavernier raccontò, nel film Round Midnight, le vicende di un sassofonista (Dexter Gordon, magnifico attore oltre che splendido musicista) drammaticamente chiuso in un mondo di sogni e di alcol. Dietro quel personaggio si nascondono in realtà le figure di Bud Powell e di Lester Young, due delle più interessanti e inquietanti di tutta la storia del jazz.   Inizio pagina

 

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