IPOTESI SULLE ORIGINI MUSICALI DELLA VIDDHANEDDHA
Ritengo che la viddhaneddha sia una danza popolare tipica del territorio reggino e che abbia connotazioni musicali tali da differenziarsi da tutte le altre danze popolari del meridione.Quanto alla sua origine è solo possibile formulare delle ipotesi; una di queste ipotesi verrà esposta in questo scritto ed e chiaro che si tenterà di suffragarla con argomentazioni obiettive. Anche se la musica popolare calabrese e reggina in particolare e stata oggetto di ricerche particolarmente approfondite da parte di studiosi illustri come il maestro Pasquale Benintende (per l'aspetto musicale soprattutto) mentre altri studiosi come il Mandalari, il Basile ed il Lombardi Satriani si sono interessati all'aspetto letterario sociologico della tradizione musicale popolare calabrese, manca del tutto un riferimento specifico alla danza popolare comunemente detta viddhaneddha che viene sbrigativamente, spesso, definita come una sottospecie di tarantella alterandone anche la denominazione quasi a volerne mascherare le origini plebee. Orbene, a nostro sommesso avviso la viddhaneddha possiede caratteristiche musicali affatto originali che la distinguono nettamente da altre danze popolari ad essa affini. Passiamo brevemente in rassegna queste danze soffermandoci soprattutto su quelle a ritmo binario per le quali e più evidente il legame con la viddhaneddha e partiamo appunto dalla tarantella. Questa danza, che nell'etimologia denuncia la sua origine meridionale (va riferita alla città di Taranto), è senz'altro la più vicina alla viddhaneddha, ma se ne differenzia per la diversa scansione ritmica. Sia la tarantella che la viddhaneddha sono danze a ritmo binario e cioè il loro metro ritmico consta di due accenti principali i quali sottendono delle suddivisioni ternarie. In termini musicali si dice che le due danze sono in ritmo (tempo) di sei ottavi da scandire in due (cioè in due accenti di tre ottavi ciascuno). Sostanziali differenze tra la tarantella e la viddhaneddha si notano nel metro ritmico che nella tarantella è caratterizzato dalla continuità dei "tre più tre" accenti di ogni misura mentre nella viddhaneddha questi accenti sono intercalati da pause (cioè da "silenzi"). Va detto che la tarantella è stata "nobilitata" dall'aver fornito lo stimolo creativo a grandi musicisti come Rossini (superfluo ricordare la celeberrima tarantella "Ha la luna in mezzo al mare..."), Florimo (famosa anche la sua lirica che si intitola proprio "La tarantella" il cui testo e dovuto al De Lauzieres), oltre a Verdi (compose una tarantella per l'opera "I vespri siciliani") e perfino a Strawinskij che ha inserito una tarantella nel balletto "Pulcinella". Saranno state queste parentele nobili, forse, a consigliare qualche parvenu all'accostamento della viddhaneddha con la tarantella ma, come vedremo, la umile viddhaneddha può vantare origini molto più nobili e lontane nel tempo. Risaliamo un po' più a nord per incontrare un'altra danza che è affine alla viddhaneddha: il saltarello. Anche questa e una danza a ritmo binario, con suddivisione ternaria diffusa soprattutto nel centro-Italia (Campania-Lazio) ed anche qui si tratta di una danza che ha un disegno ritmico diverso dalla nostra viddhaneddha e, soprattutto, un diverso carattere: è meno aggressiva nel ritmo ed è più scorrevole dal punto di vista della melodia. Un famosissimo saltarello ha composto Mendelssohn come ultimo movimento della sua 41a sinfonia (Italiana). Altro possibile "parente" della nostra viddhaneddha è il trescone, danza molto vivace a ritmo binario originaria della Toscana (e quindi una danza etrusca). Questa danza prevede, nella sua esecuzione un caratteristico scambio di fazzoletti. Diciamo che le affinità coreografiche possono essere abbastanza rilevanti confrontando la nostra viddhaneddha con le tre danze che abbiamo citato: tutte prevedono una esecuzione a coppie con atteggiamenti la cui matrice può presentare comuni origini ma credo che la viddhaneddha abbia precise ed originali caratteristiche coreografiche che la differenziano nettamente da tutte le altre danze popolari italiane. Diciamo subito che comunemente si collegano le origini delle danze popolari che abbiano nominato (tarantella, saltarello trescone) ad una danza che sarebbe la genitrice di tutte le danze popolari analoghe: la giga. Rimane comunque il fatto che la giga è una danza che, dalle origini popolari (irlandesi, pare) diventa composizione "dotta" già nel secolo XVII mentre il legame popolaresco delle altre danze si accentua attraverso una "semplificazione" del ritmo (nella giga della musica strumentale settecentesca il metro rimane ternario nei suoi accenti principali mentre la giga popolare è in ritmo binario). È dubbio, quindi se tarantella, trescone e saltarello derivino o meno dalla giga, è certo che non vi derivi la viddhaneddha ed è altrettanto certo (per chi scrive, almeno) che i legami di parentela tra la viddhaneddha e queste danze a lei affini siano soltanto superficiali. Da dove ha origine, quindi, la viddhaneddha? Per poter formulare una ipotesi accettabile bisogna attenersi a due fatti oggettivi: lo strumentale ed il disegno ritmico-melodico. Partiamo dallo strumentale: strumenti caratteristici impiegati nella esecuzione di questa danza sono, attualmente, l'organetto ed il tamburello. L'organetto è venuto a sostituire la ciarameddha (si chiama così nel reggino questo strumento che, chissà per quale senso di frustrazione, si tenta di "italianizzare" chiamandolo zampogna, cornamusa, ecc.: è ora di finirla con l'equivoco di voler nobilitare la cultura popolare attraverso l'imbastardimento terminologico!) la quale, a sua volta, si trovò al posto di un altro strumento un po' faticoso da suonare. Questo strumento risale alla tradizione magnogreca: è l'aulos impropriamente tradotto flauto, ovvero il suo più robusto fratello, il diaulos (doppio aulos), strumenti musicali di una altissima civiltà quale è testimoniata dai reperti custoditi nel museo di Reggio Calabria. Fra questi reperti spicca un
aulos di osso risalente al VI-V sec. a.C. proveniente da una tomba di
Locri: uno strumento perfetto la cui integrità è fonte di meraviglia.
Oltre a questo aulos vi sono diverse e significative testimonianze dello
strumentale classico in pitture vascolari di produzione attica (ma trovate
come corredo di tombe magnogreche). Ecco il progenitore della ciarameddha:
un doppio aulos dipinto su un vaso da vino (Oinochoe) datato 525500 a.C.,
vaso nel quale vediamo anche la lira ed i crotali (specie di nacchere o
castagnette) agitati da due danzatrici. È facile rendersi conto della
progenitura della ciarameddha da parte del doppio aulos: in questo
strumento è la cavità orale del musico a fare da serbatoio d'aria,
serbatoio che verrà, nel corso del tempo, sostituito da una pelle
d'animale più robusta e meno faticosa da tenere gonfia. Analoghe
considerazioni di minore penosità porteranno a preferire l'organetto alla
ciarameddha quando ci si renderà conto che e più facile pigiare
un mantice con le mani piuttosto che spremere i polmoni.
In altri reperti riscontriamo la presenza del tamburello (tympanon): uno lo vediamo raffigurato su un Oinochoe del VI sec. a.C. inventariato col n. 4473 nel Museo della Magna Grecia; nella stessa raffigurazione riscontriamo un doppio aulos e notiamo che il bordo del tamburello è munito di lamine metalliche (altro che tamburello... basco!). Un tympanon tiene graziosamente sospeso al braccio sinistro una menade danzante configurata in un prezioso oggetto d'uso (un vasetto porta profumi) risalente al IV sec. a.C. Altri strumenti notiamo, sia nei pinakes locresi (doppio aulos), sia nelle erme raffiguranti gruppi di tre fanciulle che suonano doppio aulos, tympanon e (verosimilmente, visto che si tratta di terrecotte votive collocate in grotte con sorgenti e quindi corrose dall'umidità) la cetra o i crotali. Continuità di una tradizione musicale popolare che è analoga alla continuità del linguaggio grecanico le cui testimonianze sono tutt'oggi riscontrabili nella zona di Condofuri-Chorio-Roccaforte-Bova. Vediamo gli aspetti ritmico-melodici della viddhaneddha. Distinguiamo, intanto, due diversi "sistemi" ritmici: uno che chiameremo sistema principale e l'altro complementare, e vediamo che il sistema principale e caratterizzato, nella parte iniziale, da una anacrusi che precede un gruppo di tre accenti. L'unione di questi quattro accenti può assimilarsi a quel piede metrico che caratterizzava, nella tragedia, l'uscita (exodos) del coro o i suoi movimenti nell’orchestra (nello spazio riservato al coro). I filologi chiamano questo piede metrico trocheo matico o proceleusmatico, schema ritmico che si associa al movimento, all'azione inserita nella ritualità della rappresentazione tragica. Non vi è dubbio che nell'aspetto coreografico della viddhaneddha vi siano implicazioni di carattere aggressivo ovvero che intendono esorcizzare l'aggressività e la violenza ed in tal senso il richiamo al movimento, determinato da fattori, è esaltato dalla vivacità dei ritmi brevi. 1M(sistema, ritmico che abbiamo chiamato complementare e poi caratterizzato dal susseguirsi di due piedi metrici che esaltano la componente lirica attenuando quella dinamica. Si tratta di un trocheo (successione di un valore ritmico lungo seguito da uno breve) con uno spondeo (due valori lunghi). Si potrebbe avanzare l'ipotesi che la viddhaneddha presenti una contrapposizione di due temi (uno di carattere aggressivo e l'altro di carattere contemplativo) quale si riscontra in varie composizioni auliche e soprattutto (portato al massimo sviluppo) nella forma sonata. Sarebbe un voler forzare i termini di una realtà la cui origine è legata anche ad una essenzialità del linguaggio armonico che, nelle composizioni d'autore, è piuttosto complesso ed elaborato. La viddhaneddha ha dunque origine in quelle manifestazioni rituali legate alla cultura e alla civiltà della Magna Grecia; nasce come ritmo liberatorio (forse) o con simbologie aggressive (anche il corteggiamento e una contesa) che ne determinano gli atteggiamenti coreografici i cui significati attendono di venire indagati. Per ciò che attiene alla musica non vi è dubbio che essa sia del tutto originale ed autoctona e che non debba cercare parentele o affinità ma affermare orgogliosamente la sua ascendenza. |
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