Tarantelle
o viddhaneddha? Potrebbe sembrare una discettazione accademica; è invece
una distinzione sostanziale. Queste danze, pur nella loro apparente
similitudine, hanno profonde differenziazioni caratteriali e storiche, che
solo la odierna strumentalizzazione consumistica del folklore appiattisce
nell'identità.
Perché
poi tarantelle e non tarantella? Anche qui si impongono dei
"distinguo".
Pur
conservando infatti, nelle apparenze, chiari punti di contatto,
sensibilmente diversi sono i tipi di tarantella in uso nelle regioni del
Sud.
Differisce
la tarantella napoletana da quella apulo-lucana e dalla sicula; la stessa
tarantella calabrese di cui la viddhaneddha reggina rappresenta una delle
forme più genuine, varia nelle componenti essenziali a seconda del
territorio geomorfologico e dell'etnicità in essa predominante, e sono
differenze che si rifanno alle modalità interpretative, alla coreuticità,
alle coreografie, alle origini, alle strumentazioni d'accompagnamento,
alle simbolicità ricorrenti e rappresentative.
In sì
vasta tipologia, la più nota e celebrata e la tarantella napoletana.
Originaria
di quell'area geografica nei primi del settecento, ha chiari punti di
contatto con i più antichi salterello ciociaro e trescone
tosco-umbro-marchigiano, a loro volta derivati dalla trecentesca giga.
Rappresenta il mimo del corteggiamento con animate figurazioni. È una
danza collettiva (dalla scoppiettante coreografia ed indulge sovente a
movimenti acrobatici (salti, piroette, etc.).
Fu
celebrata, la tarantella, da scrittori italiani e stranieri del passato,
come Goethe, Blasis ed altri. "Danza vulcanica--scrisse Charles
Didier -- come le emozioni che esprime, e la storia di una passione
meridionale. Ogni gesto è un 'idea, ogni posa un sentimento, sicché essa
si svolge drammatica, pudica, irresoluta, affascinante, emblema dei
contrasti interiori d'un silenzioso amore. Ma quando la tensione scoppia e
trionfa, la danza si anima, travolge e passa dalla timidezza all'audacia
ed attacca, insegue, incatena e, baccante ebbra e delirante, si precipita
cieca alla voluttà".
Aggiungeva
R.M. Rilke: "È come se fosse stata inventata da ninfe e satiri;
antica e riscoperta è risorta, colma di atavici ricordi. Astuzia,
selvatichezza, ebrietà: uomini che han zoccoli di caproni e fanciulle del
corteggio di Artemide...". Al chico ed al fandango cerca di
avvicinare la tarantella Carlo Blasis nel tentativo di mediterraneizzarla:
a "...un mélange de danse italienne et espagnole” .
Non
sostanzialmente dissimili sono la tarantella siciliana ed alcune varianti
di quella calabrese, soprattutto nelle espressioni corali, che sono,
grosso modo, quelle interpretate dai gruppi folcloristici per esigenza di
spettacolo .
Altre
versioni coreografiche si rifanno a quel tipo di tarantella pur se
introducono elementi eterogenei come il bastone i nastri, i fazzoletti.
Famosa e
la "ndrezzata" amalfitana. Il bastone, in questo tipo di danza
non si usa solo per eseguire coreiche figurazioni di combattimento (come
nella danza calabrese dei bastoni, dove la conclusione coincide con la
simulata uccisione di uno dei contendenti), bensì per creare un elemento
di collegamento fra i partecipanti al ballo: la famosa simbologia della
"catena". In altre versioni regionali, il bastone e sostituito
da nastri (la "cordella") fissati alla sommità di un alto palo:
nastri che alla fine i ballerini, danzando, in senso circolare, finiranno
con l'intrecciare trovandosi quindi raggruppati strettamente alla base
dell'antenna (Sicilia, Campania, Ciociaria). In Sicilia e Calabria, invece
la <catena> viene formata con l'uso di grandi fazzoletti. La danza
dei bastoni ha radici profonde nell'area mediterranea, in Egitto, nel
Sudan e trova un valido riscontro nella danza catalana del " paloteo".
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